Maflow Trezzano, l’utopia diventa realtà: gli operai fanno rinascere la fabbrica, “senza padroni”
La Maflow di Trezzano sul Naviglio (Milano) produceva componenti per le industrie automobilistiche più importanti. Dal 2008 la crisi, più o meno giustificata, poi il passaggio di mano nel 2009 e quindi la chiusura. Risultato: 320 lavoratori a casa. Ora, negli spazi dell’ex stabilimento nel frattempo tornati nella mani della banca creditrice, gli operai hanno fatto rinascere un’attività. Un segnale importante di lotta e speranza per il lavoro
Una fabbrica rinasce sulle “ceneri” dell’ex stabilimento grazie ai suoi ex operai. Succede a Trezzano sul Naviglio, alle porte di Milano. Qui la crisi ha mietuto decine di vittime tra le aziende. Tra quelle chiuse definitivamente c’è anche la Maflow, fino al 2008 tra i più importanti fornitori italiani del settore automobilistico: produceva tubi per gli impianti di climatizzazione.
La vicenda della Maflow è complicata. Con la “scusa” della crisi, nel 2008, l’azienda che è sana e ha tantissime commesse improvvisamente va in crisi. Nonostante i tentativi di rilancio e le battaglie sindacali l’azienda declina rapidamente, finchè nel 2009 ne viene dichiarata l’insolvenza.
Poi c’è il tentativo di recupero di un imprenditore polacco, che però coinvolge solo 80 dei320 dipendenti ex Maflow. Poi il nulla, tutti a casa. Ma i lavoratori non ci stanno, e mentre i capannoni dove sorgeva l’area produttiva dai liquidatori passano in mano alle banche creditrici, gli operai pensano di utilizzare gli spazi e le attrezzature ancora disponibili per re-inventarsi un lavoro.
Detto fatto: occupano la ex fabbrica e poi ottengono con insistenza l’autorizzazione della nuova proprietà (una società del gruppo Unicredit) ad utilizzarne gli spazi, quasi 30mila metri quadri. E coinvolgendo una rete di persone che comprende disoccupati di altre fabbriche chiuse dell’ovest milanese e persino alcuni imprenditori locali, si rimettono al lavoro.
Che fare però? L’idea parte da quel che resta nei capannoni della ex Maflow: rottami ferrosi e altri macchinari in disuso. Di qui l’idea di aprire una vera e propria attività di ricicleria di materiali ed attrezzature dismesse. Cose piccole per iniziare, per cui non servono grandi attrezzature: computer, piccoli motori, elettrodomestici vengono smontati pezzo per pezzo per essere riciclati.
L’attività sta in piedi? I promotori, che si sono regolarizzati in cooperativa (con un primo nucleo di 10 persone) dicono di si. Prendono contatti con le amministrazioni locali per far conoscere la nuova attività, la “ri-Maflow” e soprattutto ci credono: la “fabbrica senza padroni” sta prendendo forma e attorno a se sta raccogliendo le speranze di molti disoccupati dell’area, una volta cuore industriale dell’ovest milanese. Qui c’è l’appellopubblicato lo scorso gennaio alla vigilia della costituzione della nuova cooperativa.
Michele Morini, uno degli ideatori di questo progetto, ha detto al quotidiano onlineLinkiesta “ora la cooperativa non è ancora in grado di produrre degli stipendi per tutti. Ma la speranza è che in futuro potremo magari comprare dei macchinari e crescere ancora, diventare di nuovo 200-300 operai e tornare occupare ancora tutti gli stabilimenti”.
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